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Ci è sembrato necessario approfondire ciò che si è visto nell'industria automatizzata ed informatizzata nel nostro territorio alla luce dei principali sistemi economici che abbiamo incontrato nella riflessione filosofica e anche alla luce della Storia del Pensiero Economico (SPE).
Alessandro e Costanza hanno utilizzato il testo divulgativo di A. Roncaglia "Breve storia del pensiero economico".

Ma prima di approfondire cosa sia e a che cosa serva la SPE Alex e Michelangelo ci semplificano le 4 rivoluzioni nell'Industria: "Il corso della storia può essere suddiviso in 4 grandi sezioni, ognuna scandita dalla relativa rivoluzione industriale. Infatti ogni volta che si presenta un’ondata di innovazione sia scientifica che tecnologica il settore dell’industria si è sempre evoluto stravolgendo quello che era l’assetto precedente.
La prima rivoluzione industriale interessò prevalentemente il settore tessile e quello metallurgico, con l’introduzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700.
La seconda rivoluzione industriale viene invece fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio.
La terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire intorno al 1950, conosciuta anche come la rivoluzione digitale, coincide con il passaggio dalla meccanica, dalle tecnologie elettriche e analogiche alla tecnologia digitale, che si è sviluppata nei Paesi più avanzati con l’adozione e la proliferazione dei computer digitali e dei sistemi di conservazione dei documenti. Con l’espressione terza rivoluzione industriale si può indicare anche tutta quella serie di processi di trasformazione della struttura produttiva, e più in generale del tessuto socio-economico, avvenuti a partire dalla metà del Novecento nei Paesi sviluppati e caratterizzati da una forte spinta all’innovazione tecnologica e al conseguente sviluppo economico della Società. Innovazione legata alla nascita dell'informatica, dei computer, dei robot, della prima navicella spaziale e dei satelliti.
La quarta rivoluzione industriale, più comunemente conosciuta come Industria 4.0,invece indica il passaggio avvenuto verso la digitalizzazione e l’automatizzazione produttiva che integra alcune nuove tecnologie produttive e “sistemi cyber-fisici” (CPS), nei processi industriali per migliorare le condizioni di lavoro e aumentare la produttività e la qualità produttiva degli impianti.Un sistema ciber-fisico è un sistema informatico in grado di interagire in modo continuo con il sistema fisico in cui opera. Questi sistemi possono anche essere usati in molti altri settori come ad esempio per il controllo intelligente del traffico, la domotica, le telecomunicazioni, l’automobilismo, l’avionica."
Alessandro e Costanza hanno semplificato, invece, i principali tipi di sistemi economici che esistono o sono esistiti, a volte in contrapposizione: "sistema liberale", "sistema collettivista" e "sistema misto" mettendo in evidenza la complessità di come in un sistema liberale dopo le crisi del '29 si sia potuto dar vita ad economie "keynesiane" o come, oggi, da un sistema collettivisti/socialista sia nata incredibilmente la potenza cinese, il più grande produttore economico del mondo capitalistico.

Concentrandosi sul "Capitolo 1", “A cosa serve la storia dell’economia politica?" del libro del prof. Roncaglia, hanno introdotto in classe la "storia del pensiero economico".
L'autore distingue tra "economia" e "storia dell'economia" e sottolinea come la maggior parte degli economisti ritiene utile la SPE alla formazione degli economisti stessi: disciplina umanistica con una dimensione storica che oltre a far riflettere permettere un’educazione alla democrazia .
Chi non la ritiene utile, invece, si rifà sostanzialmente alla convinzione "cumulativa" ossia che il sapere economico sia scientifico e certo, convinzione che nasce nel periodo del Positivismo.
Tra i primi, ovvero tra chi ritiene utile la SPE, si crede al contrario che non ci sono sistemi economici perfetti: in ognuno dei vari tipi di sistemi, che si sono succeduti nel tempo si possono venire a creare tensioni tra le regole della coerenza logica e la natura di scienza sociale dell’economia. Ossia le convinzioni di questo gruppo di "economisti" si muove nell'influenza, dice Roncaglia, di una visione di scienza economica che deriva dal dibattito epistemologico novecentesco iniziato da Popper. Teorie e non fatti, Paradigmi e programmi di ricerca sono i concetti di riferimento e derivano oltre che da Popper dalle riflessioni di Kuhn, Lakatos, Feyerabend.
Posto questo principio il paragone critico tra i diversi sistemi economici che si sono succeduti e sono stati utilizzati in periodi di crisi diventa essenziale per pensare nuove soluzioni o adattamenti.
Per questo presenteremo alcuni sistemi economici alternativi all'esistente (liberismo/neoliberisamo), studiati nei libri di storia, ma dimenticati nella riflessione economica "mainstream" per vari decenni che però stanno riemergendo soprattutto nelle Università e nei "centri studi" specializzati: "sistema keynesiano" e "La grande trasformazione di Polanyi".
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J. M. Keynes
(a cura di Elena e Camilla)
Oggi domina la visione economica definita “Neoliberismo” o “mainstream”, un indirizzo di pensiero economico, variante del liberismo classico del secolo diciannovesimo (nato con A. Smith, D. Ricardo ecc..), imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si deve limitare a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli. Il neoliberismo è stato implementato da alcune tra le istituzioni nate con la seconda guerra mondiale come il Fondo Monetario Internazionale (IMF) e la Banca Mondiale (MB). Sostiene un libero mercato, ma anche di conseguenza la subordinazione delle economie statali che cercano di proteggere la propria economia. Si oppone quindi alle violazioni della concorrenza perpetrate da concentrazioni monopolistiche all’ombra del “laissez faire” e chiede pertanto misure atte a ripristinare la effettiva libertà di mercato e a garantire con ciò il rispetto anche delle libertà politiche. Connesso ad esso è il sistema della “globalizzazione economica”.
LIBERISMO O LIBERALISMO
(a cura di Ludovico A.)
Libertà economica dell'individuo e politica vengono veicolate come unite in quello che in lingua inglese viene definito “liberalism”: https://en.wikipedia.org/wiki/Liberalism e viene poi approfondita come uteriore voce in “economic liberalism”.
Da noi si usa un linguaggio diverso per veicolare una precisazione storicamente significativa: a tal riguardo Ludovico scrive “Il liberismo è termine solamente italiano che non trova riscontri a livello globale, infatti se si cerca il termine corrispondente inglese su wikipedia, “liberism”, troviamo che è pienamente inglobato dalla voce “Liberalism”: infatti si legge <<Liberism (derived from the Italian term liberismo) is a term for the economic doctrine of laissez-faire capitalism first used by the philosopher Benedetto Croce, and popularized in English by the Italian-American political scientist Giovanni Sartori.". Proprio a Sartori si deve la riproposizione, secondo la voce inglese di wikipedia, della distinzione tra i due termini: “Sartori imported the term from Italian in order to distinguish between social liberalism, which is generally considered a political ideology often advocating extensive government intervention in the economy, and those liberal theories of economics >>”
https://en.wikipedia.org/wiki/Liberism
L'origine della diversificazione tra i due termini nella lingua italiana va ricercata nel confronto tra Luigi Einaudi e Benedetto Croce. Riporta di nuovo Ludovico: “nel 1928 Luigi Einaudi sostenne che: <<Il liberismo non è né punto né poco “un principio economico”, non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico; è una “soluzione concreta” che talvolta e, diciamo pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato, di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o spirituali che il politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti al raggiungimento della massima elevazione umana.Il liberismo deve limitarsi a ‘calcolare’ il modo più idoneo per raggiungere i fini prefissati da altri. Il liberismo non è altro che il metodo più idoneo per trovare tale soluzione. In questo senso, il liberismo non si identifica affatto con la teoria del laissez-faire formulata dall’economista francese Frédéric Bastiat >>
Alla lettura di questa affermazione Croce si oppose criticando il liberismo "non in quanto metodo o pratica economica, non nel suo essere espressione della libera iniziativa privata, ma per la sua pretesa di elevare i principi dell’utilitarismo a «regola e legge suprema della vita sociale».
Se lo Stato può avere un ruolo nel sistema politico, allora ed ora, sembra il problema su cui muoversi.
Il liberalismo keynesiano rappresenta una variante del paradigma liberista, che ebbe successo sia con le politiche del "New deal" che con il piano "Erp" di ricostruzione post seconda guerra mondiale.
Il pensiero di Keynes è basato sul principio della domanda effettiva ("aggregata").
IL LIVELLO DI PRODUZIONE DI UNA NAZIONE, IL SUO REDDITO (PIL) E DI CONSEGUENZA L’OCCUPAZIONE, SONO DETERMINATI DALLA DOMANDA.
Per Keynes il sistema liberista si basa sugli «animal spirits» (imprenditori); egli rifiuta l’idea che il capitalismo funzioni come un sistema meccanico e quindi l‘accostamento dell‘economia a scienze naturali ed esatte. Il mercato assomiglia ad un gioco d‘azzardo e ciò rende il capitalismo, quando viene lasciato a se stesso, soggetto a squilibri gravi e imprevedibili. Il mercato non è né efficiente né giusto.
"IL CAPITALISMO È UN CAVALLO IMBIZZARRITO DA DOMARE E NON UN CAVALLO A DONDOLO CHE TORNERÀ SEMPRE ALLA SUA POSIZIONE DI EQUILIBRIO SENZA ALCUN INTERVENTO ESTERNO "
In esso domina la moneta e la pulsione irrazionale verso l‘accumulazione in sé comportando l‘allontanamento dai bisogni che la società esprime. Soprattutto in tempi di crisi, lo Stato deve entrare nel mercato e contribuire a far ripartire la crescita del sistema economico generando lavoro con lo scopo di far risalire la "domanda aggregata". Questo comporta maggior spesa ed aumento momentaneo del debito pubblico.
Secondo i sostenitori delle idee neokenesiane le politiche keynesiane e di intervento pubblico hanno assicurato decenni di crescita e prosperità con la ripresa fin dal New Deal negli anni ’30, al contrario l‘abbandono di queste politiche ha avuto un ruolo decisivo nel provocare la crisi
Secondo questa variegata scuola di pensiero, anche se è passato del tempo e l‘economia è cambiata e cambierà ancora, si deve prendere esempio da ciò che ha creato una forte ripresa piuttosto che una drastica crisi per creare un nuovo pensiero economico qualora quelli del passato non siano più inerenti.

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