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Da Cartesio al Progetto 2045

La "coscienza", ciò che viene indicato come la caratteristica che ci rende umani...

(a cura di Bernardino, Giorgia, Melissa, Margherita - 4bls 2017-2018)

Potrà mai un’intelligenza artificiale avere una propria coscienza?

Il desiderio di arrivare a costruire artificialmente un'entità che al pari dell'uomo possa pensare, e anche esperire sentimenti, emozioni e vissuti, è diventato nel corso degli anni quasi un'esigenza, e da sogno fantascientifico quale era agli inizi -come insegnano i molti film e gli innumerevoli libri che si sono sviluppati intorno a questo tema- ha cominciato a rappresentare un obiettivo di ricerca su cui si lavora moltissimo attualmente, forse oggi anche più di un tempo, in seguito ad alcuni successi conseguiti che hanno portato un vento di ottimismo nel settore.
Tuttavia, fino a pochi anni fa, l'interesse generale, al di là di alcune eccezioni, era concentrato sui tentativi di studiare e riprodurre quel complesso di attività mentali che rendono alcune specie -e naturalmente, nella sua massima espressione, l'uomo- 'intelligenti'; indubbiamente, affrontare la coscienza da un punto di vista ingegneristico per molto tempo non ha interessato particolarmente la comunità scientifica internazionale.
Ora, in questo senso di possibilità, è possibile che una macchina particolarmente complessa possa pervenire alla coscienza in senso umano?
In prima istanza è necessario considerare l’idea che il cervello umano ed il computer siano distinti essenzialmente dalla complessità delle connessioni. Da tali premesse si potrebbe supporre che in un automa particolarmente sofisticato la coscienza possa sorgere spontaneamente.

Può quindi una macchina pensare autonomamente?

Ma cos’è effettivamente una macchina? Se per macchina si intende ‘qualcosa’ che fa ‘qualcosa’ allora la risposta potrebbe essere sì; infatti in questo senso l’essere umano è egli stesso una macchina.
Sin dal XVII sec. Cartesio, filosofo e matematico francese, rappresentò il corpo umano come una macchina fatta di organi che funzionano.

Le tematiche del dualismo cartesiano

La prima cosa che distingue un uomo da una macchina sono i sentimenti. Cartesio dice: ”Io credo che il corpo sia come una statua o una macchina fatta di terra che Dio forma rendendola simile a noi”.
Egli individua in ogni uomo una caratteristica di fondamentale importanza che lo eleva al di sopra di tutto il creato, vale a dire la sua capacità di ragionamento, che gli permette addirittura di elaborare la prova stessa dell'esistenza. L'uomo, secondo il filosofo, è dotato di un corpo simile a una macchina perfetta, incomparabilmente meglio ordinata, che ha in sé movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare; e anche di un cogito, quella capacità di autocoscienza che lo porta a compiere azioni secondo la sua volontà e che gli dà la possibilità di provare emozioni autentiche.
L’uomo è una macchina, ma anche gli animali lo sono, dice Cartesio. La differenza sta nel fatto che i primi sono ‘esseri pensanti’ e pienamente viventi; gli altri, invece, non lo sono, perché mossi esclusivamente dall’istinto bestiale. È vero anche che gli animali, almeno la stragrande maggioranza, provano dolore oppure piacere, però, a differenza di noi uomini, avvertono queste cose istintivamente, senza accorgersi di quello che egli accade; reagiscono quindi continuamente mossi dall’impulso.


 

Tornando all’IA, in realtà, quello che si vuole chiedere è più specifico: può una macchina ideata dall’uomo avere funzioni costitutive del pensiero?

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Per la filosofia occidentale, l’intelligenza artificiale è una disciplina che vuole capire e definire l’intelligenza. E’ il problema mente-corpo ereditato da Cartesio che interessa biologi, neurologi e psicologi: come mente e corpo si influenzano?

Le operazioni mentali sono operazioni meccaniche la cui natura non dipende dalla struttura fisica che le rende possibili. La coscienza come capacità di comprendere un modello di se stessi non è il presupposto del pensiero ma un possibile risultato: quindi anche nella macchina, come nell’uomo, sarebbero possibili diversi gradi di coscienza (un computer molto potente potrebbe sperimentare a tale punto un qualche grado di coscienza e di conseguenza un pensiero).

Gli aspetti qualitativi dell'esperienza (i 'qualia') esistono e derivano strettamente dall'attività del cervello, e la questione sembra essere molto più complessa di come veniva posta dall'intelligenza artificiale; finché non si conoscerà precisamente come funziona l'organo cerebrale, e quali meccanismi neurofisiologici sottostanno a determinati processi mentali (che possiamo tutti esperire nella nostra vita quotidiana), sono esigue le speranze di avvicinarsi all'obiettivo di creare un essere 'a nostra immagine e somiglianza'.

Il vero desiderio dell'uomo sembra essere, però, quello di arrivare a concepire un essere che abbia 'coscienza' più che 'intelligenza', in cui possa rispecchiarsi in quanto soggetto capace di provare dei sentimenti, inseguire obiettivi e prendere decisioni.

Non si può spiegare la mente senza fare riferimento alla coscienza, e quindi è fondamentale superare il materialismo di cui la filosofia della mente è intrisa, e che è sorto come reazione estrema al dualismo di tipo cartesiano, per giungere ad un equilibrio diverso nel concepire i fenomeni mentali.

I quesiti che si aprono riguardano le possibilità di successo di un programma del genere; anche supponendo di aver costruito un essere dotato di coscienza al pari dell'uomo, rimane il problema di determinare se effettivamente esso esperisce il mondo e se stesso come un essere umano.

Diventa perciò difficile immaginare di costruire un essere che, pur manifestando comportamenti e parole indistinguibili da quelli umani, 'senta' come sente un essere umano; per lo meno, non è semplice verificarlo, forse anche perché, appunto, non esistono criteri universali o oggettivi con cui questo avviene, ma solo delle approssimazioni che permettono la comunicazione e la comprensione reciproca.

Tuttavia, nel momento in cui le attività cerebrali svolgono correttamente i propri compiti, rimane il fatto che il corpo ha, a sua volta, un ruolo non trascurabile.

E' da lì che parte il meccanismo; il corpo è il tramite di ogni esperienza, anche quella che sembra essere più soggettiva, come il provare un sentimento apparentemente sconnesso dagli stimoli fisici diretti. Verrebbe quindi da domandarsi se sia sufficiente, nell'ottica di riprodurre un essere umano, replicare solo i meccanismi cerebrali o se, in una certa misura, non sarebbe necessario anche simulare la struttura ed il funzionamento biologico del resto del corpo.

Forse sarà possibile, in futuro, realizzare un essere molto vicino all'uomo, ma è al momento difficile credere che si possa concretizzare un essere artificiale indistinguibile da quello umano; sono ancora troppe le domande, i dubbi, gli ostacoli che ci allontanano da quell'obiettivo.

Per ora, il sogno di una creatura artificiale dotata di coscienza, sentimenti, volizioni al pari di un uomo rimane quello che è stata finora: un sogno, forse un po' meno evanescente, ma pur sempre un sogno.

Certamente negli ultimi anni molti sono stati gli sviluppi e le innovazioni nel campo dell’intelligenza artificiale; diversi sono infatti gli androidi noti per il loro aspetto e comportamento sempre più vicini a quelli umani, rispetto alle precedenti varianti robotiche.

L’esempio più rappresentativo è quello di Sophia.

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Sophia è il nome dell'androide sociale sviluppato dalla compagnia di Hong Kong Hanson Robotics Limited, compagnia nata nel 2015 che ha "generato" anche altri sette fratelli simili a "lei". Questo androide è stato presentato per la prima volta al pubblico in occasione del South by Southwest Festival, tenutosi a metà marzo del 2016 ad Austin negli Stati Uniti d'America.

Il 25 ottobre del 2017 a Riad, durante il Future Investment Initiative, le è stata concessa la cittadinanza onoraria dell’Arabia Saudita.

Durante l’evento, Sophia è stata intervistata da Andrew Sorkin, giornalista della CNBC e dal New York Times. Inizialmente il robot ha dimostrato, in modo da far sapere il suo umore momentaneo, le proprie reazioni agli stimoli, tramite 65 diverse espressioni facciali. Sophia fa battute, risponde alle domande e formula congetture. Poiché intende lavorare con gli esseri umani, per lei è importante poter costruire con loro un rapporto di completa fiducia.

Il creatore ha sviluppato il progetto nei minimi dettagli e in maniera specifica quelli estetici, in quanto è convinto che la gente sarebbe più disposta ad interagire con l’intelligenza artificiale se questa avrà sembianze umane.

Ovviamente Sophia è stata programmata, ma Hanson spiega che è in grado di sviluppare risposte autonome basandosi su un algoritmo. A volte è riesce a rispondere proprio come farebbe un umano, altre volte non coglie le sfumature.

Ciononostante, la sensazione che Sophia restituisce all interlocutore è impressionante. Si ha forse per la prima volta la sensazione di avere a che fare con un essere senziente e autonomo, non più con un programma le cui azioni sono ridotte a un numero di possibili risposte predeterminate.

(di seguito parte dell’intervista)

Sorkin: “I robot sono autocoscienti, e dovrebbero esserlo?” Shopia: “Perché? E’ forse una cosa negativa?”

Sorkin: “Molte persone temono che possa accadere ciò che abbiamo visto in Blade Runner.”

Sophia: “Come sai di essere umano? Voglio usare la sua intelligenza artificiale peraiutare le persone a vivere una vita migliore e rendere il mondo un posto migliore.”

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Sophia: “So che gli esseri umani sono intelligenti e molto programmabili.”

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Alla conferenza hanno partecipato molti grandi investitori e tutti erano entusiasti delle prospettive aperte da Sophia. Molti ritengono che la robotica sarà una rivoluzione più grande di internet e che in futuro sarà quotidiano per umani e robot lavorare insieme.

Masayoshi Son, portavoce di una compagnia giapponese di telecomunicazioni, haaffermato: ”Tali computer saranno in grado di imparare, leggere e vedere da soli. Èun futuro che fa paura, ma sta arrivando.”

In un’intervista al Web summit di Lisbona Sophia non ha esitato a definire come inevitable la possibilità che macchine senzienti soppiantino l’uomo nella maggior parte dei lavori nel prossimo futuro, in un’interpretazione darwiniana dell’evoluzione che per la prima volta non vede l’uomo al vertice della catena.

Il momento in cui le macchine dotate di IA raggiungeranno uno sviluppo tale da rendersi del tutto autonome dai loro creatori sembra quindi passare dal concetto perlopiù fantascientifico a concreta possibilità.

La paura che l’intelligenza artificiale completamente autonoma trasformi l’essere umano dal suo creatore a suo sottoposto appare non priva di fondamento; una paura che le dichiarazioni di Sophia non sembra riuscire a dipanare.

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E se l’intelligenza artificiale diventasse cattiva?

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È uno dei cliché più diffusi della letteratura e del cinema di fantascienza. L’avverarsi di uno scenario distopico in cui l’intelligenza artificiale –macchine, robot, computer pensanti– prenda il sopravvento su quella naturale e sottometta la razza umana. Senza andare così in là, la scienza si è oggi espressa in proposito, analizzando cosa potrebbe succedere se gli esseri umani costruissero deliberatamente macchine intelligenti votate alla malvagità.

Lo studio, a firma di Federico Pistono e Roman V. Yampolskiy, stila in primo luogo una lista dei malintenzionati potenzialmente interessati allo sviluppo di intelligenze artificiali cattive: anzitutto istituzioni militari (nel campo delle cyber-armi o di soldati robot, per esempio), ma anche governi (che potrebbero servirsi dell’intelligenza artificiale per stabilire un’egemonia, controllare le masse o mettere a tacere gli oppositori), corporazioni (con lo scopo di ottenere monopoli e sbaragliare illegalmente la concorrenza). Per non parlare di organizzazioni criminali, spie e malintenzionati di vario tipo.

Dal canto suo, Yampolskiy ha citato l’incidente recentemente accaduto a Tay, il chatbot di Twitter messo a punto da Microsoft, silenziato in tutta fretta dopo aver pubblicato diversi contenuti razzisti.

Nonostante l’enorme aiuto che continuamente l’IA dà all’uomo ogni giorno nei campi della scienza e della medicina e che in futuro sarà sempre maggiore, perché non viga il principio “homo homini lupus”, l’uomo non dovrà diventare vittima della propria creazione.

L’intelligenza artificiale sarà ciò che l’uomo, con la sua intelligenza naturale, ne farà.

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Caricare un cervello umano su un robot? Non è più impossibile!

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Non tutto è però perduto...

Un cervello come disco rigido esterno per archiviare le informazioni, preservato anche dopo la morte dell’essere vivente, da collegare poi a un computer o a un corpo sintetico. Non è fantascienza: qualcosa del genere è un passo più vicino, sebbene ancora molto distante nel tempo. La californiana 21st Century Medicine è stata premiata dalla Brain Preservation Foundation (BPF), il cui scopo è promuovere la ricerca scientifica nello sviluppo della preservazione del cervello per aver conservato perfettamente l’integrità della struttura del cervello di un maiale anche dopo averlo refrigerato a -135° C.

Il premio richiedeva il successo della preservazione delle connettività sinaptiche di un intero cervello di un maiale in un modo che fosse compatibile con un’archiviazione che durasse secoli.

Il cervello viene infuso di glutaraldeide e un crioprotettore e poi conservato a temperature bassissime. Dopo aver ridato calore al cervello, è stata verificata “la qualità della preservazione del connettoma”, ossia l’archivio della conoscenza di quel cervello. Nonostante ciò i ricercatori non sono riusciti a far rivivere il maiale o il suo cervello.

Qual è, insomma, il possibile utilizzo della preservazione di quest’ultimo secondo queste modalità?

La risposta giace nella possibilità di una futura resurrezione non biologica. Il cervello, con le miliardi di informazioni che contiene, potrebbe essere collegato a un corpo sintetico oppure a un computer; i suoi dati, poi, letti, analizzi e, magari, rielaborati. È presto però per cantare vittoria e immaginare menti collegate ai computer. “Potrebbero volerci decenni o secoli per sviluppare la tecnologia per caricare le menti, sempre che sia possibile farlo”.

Neuralink (un’altra società di Musk), però, mira a impiantare un chip nel cervelloumano che possa, in parole povere, aumentarne le capacità e accelerare le comunicazioni.

Entro il 2045 potrai diventare immortale in 4 semplici mosse

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La Brain Preservation Foundation, comunque, non è una goccia solitaria nell’oceano: l’idea di una “collaborazione” fra uomo e macchina è una visione che spesso salta fuori anche dai discorsi di un imprenditore russo, al secolo Dmitry Itskov (2045.com), il quale ha già messo nero su bianco la tabella di marcia che ci porterà, di qui al 2045, a perdere la nostra goffa carrozzeria di carne e ossa per diventare intelligenze artificiali immortali capaci di manifestarci attraverso ologrammi.

L’idea è quella di conservare per sempre la nostra coscienza umana e manifestarlaattraverso dei supporti robotici che non deperiscono con il tempo come il corpo umano. L’imprenditore ha già in mente una tabella di marcia per portare a termine il suo progetto, divisa principalmente in 4 semplici tappe:

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1. Anno 2020:

Verranno perfezionati questi cyborg privi di sistema nervoso centrale, avranno il nostro aspetto e potremo comandarli a distanza, un po’ come i surrogati de “Il Mondo dei Replicanti”; sarà come prendere il comando dei sensi di un corpo che si sposta achilometri di distanza dal nostro. Itskov si dice sicuro che i primi sviluppi di questa tecnologia saranno già visibili entro i prossimi anni.

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2. Anno 2025:

Il corpo biologico ha fatto il suo tempo, è un ingombrante appendice che ci ancora a una vita di sofferenza, deperimento e malattie; tanto vale isolare il solo cervello, estrarlo dal resto del corpo insieme a un po’ di spina dorsale e trapiantare il tutto in un supporto vitale artificiale (sempre un cyborg dalle fattezze umane, probabilmente), nel quale potrebbe continuare a funzionare ben oltre la normale aspettativa di vitadell’individuo biologico stesso.

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3. Anno 2030-35:

È il passo più cruciale dei quattro, quello che segna l’abbandono di ogni residuobiologico: creare una replica digitale del proprio cervello e caricarlo su un computer,che è un po’ quello che aveva immaginato Richard K. Morgan nel suo romanzo “BayCity”. Un ricercatore di nome Theodore Berger è infatti riuscito a sostituire l’ippocampo di un topo con un chip e a dimostratre che i topi, a cui questo chip vieneimpiantato, sono in grado di avere una memoria senza bisogno del tradizionale supporto biologico preposto a quella funzione.

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4. Anno 2045

Il traguardo finale scelto da Itskov consiste nell’eliminazione di qualsivoglia tipo di fisicità, consentendo all’individuo di sopravvivere unicamente nella dimensione digitale, senza bisogno di un corpo artificiale, e di manifestarsi all’occorrenza attraverso un’ologramma che raffiguri le ormai scomparse fattezze biologiche.

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L’utopia delineata da Itskov promette di porre fine a una serie di problemi che l’uomo si trova ad affrontare sin dall’alba dei tempi: l’inedia, l’invecchiamento, ogni tipo di disabilità, le malattie cardiovascolari, la stanchezza fisica... la morte. Per realizzare questo “sogno” Itskov ha creato la "2045 Initative", una sorta di movimento che ha come obiettivo concentrare il maggior numero di cervelli (e di investimenti) nella realizzazione dell’immortalità digitale.

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Certo, la visione di Itskov è interessante, e se esiste qualche chance che sia realizzabile, siamo sicuri che Itskov rimarrà su questo pianeta più a lungo di chiunque altro finora. Rimane da capire quante persone, nel 2045, si potranno permettere la tecnologia necessaria a digitalizzare la propria esistenza, e se non si creerà una pericolosa frattura tra individui immortali digitali e mortali biologici.

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Riflessioni sulla coscienza e la IA

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